sabato 24 dicembre 2011

La scuola si fa social

La scuola si fa social web 2.0


Le nuove tecnologie rappresentano lo strumento per il necessario cambiamento delle strutture scolastiche. L'attività formativa e la carriera studentesca di ognuno diventano vere e proprie applicazioni, con cui operare dentro e fuori l'istituzione. Per arrivare un domani a percorsi di apprendimento in evoluzione costantedi TIZIANO TONIUTTI
Il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo, tra i banchi in formica della scuola di oggi, immagina le classi 2.0 di domani. E propone un tablet al posto dei libri di testo, un'unica tavoletta elettronica per contenere in un centimetro di spessore le migliaia di pagine dei volumi che accompagnano gli studenti nell'arco della carriera. E che oltre il contenuto, hanno anche un peso importante, in chilogrammi, sorretto da zaini sempre più rinforzati. Un fardello che dalle scuole raccontate da Collodi e De Amicis è diventato sempre più grande, e che finalmente la tecnologia può contribuire ad alleviare. Aumentando nello stesso tempo la quantità di informazioni disponibili a chi studia.

Una scuola touch. Le possibilità di integrazione delle nuove tecnologie già nella scuola di oggi sono molto alte. Certo in un'istituzione piagata dalla cronica mancanza di risorse, il prezzo per l'acquisto di un tablet per ogni studente potrebbe essere un ostacolo serio. Ma in India, il tablet da 30 dollari è una realtà, e nasce specificamente come strumento didattico. Ciò che offre un tablet più di un notebook è la possibilità di essere usato oltre che come libro di testo, come quaderno, blocco appunti, strumento di precisione grazie ai giroscopi, estensione di un banco-desktop gestibile senza una tastiera o un mouse. Caratteristiche che si ritrovano in tutti i modelli disponibili sul mercato, certo migliore è l'hardware e più ampie saranno
le possibilità di applicazione. Ma per far diventare i compiti "touch", è necessario che l'infrastruttura scolastica venga adeguata. Questo significa come minimo, accesso alla banda larga per gli studenti in classe e a casa.

La scuola diventa una app. Con l'introduzione della tecnologia come strumento didattico, non si può prescindere da un cambiamento dell'istituzione. Che non può terminare con il semplice adattamento, ma deve diventare una trasformazione. Di più: la trasformazione dei modi, degli strumenti e delle catergorie della scuola deve diventare un elemento strutturale, per permettere un'evoluzione costante e sistematica della scuola e degli studenti stessi, oltre alle modalità didattiche. E soprattutto dei docenti, per cui il lavoro di insegnamento diverrebbe giocoforza e proficuamente anche una ricerca e un aggiornamento costante.

Studiare è social. Il tablet è solo il più vicino degli orizzonti, anche per la velocità con cui le tecnologie cambiano, e con loro i relativi costi. Dopo le lavagne elettroniche, non è lontano il giorno in cui ogni studente potrà avere un banco-tablet, come quello che oggi vediamo nei telegiornali, sincronizzato con il proprio dispositivo mobile e con il computer a casa. Lo spazio della scuola si estenderebbe per superare i confini dell'edificio, ed entrare nella vita dello studente con dinamiche di intervento e condivisione che arrivano dal mondo del web sociale, piuttosto che dai videogiochi - un universo di stimoli e verifiche riconvogliabili nella didattica, da non sottovalutare. ma senza guardare lontano, l'elemento tecnologico è in grado già ora di rivoluzionare le dinamiche dell'istruzione scolastica così come la conosciamo, Anche senza arrivare alla scuola 2.0, già nella 1.5: ad esempio, i "compiti in classe" potrebbero essere un'evoluzione di un lavoro individuale svolto durante il programma, e non solo una verifica di apprendimento.
(23 dicembre 2011)

martedì 20 dicembre 2011

Corsi e Certificati gratuiti online dal MIT e Stanford


Stanford launched a highly-publicized series of free courses that offer students something novel: the ability to take tests and receive a “statement of accomplishment” from the instructor — though not the school itself — if they pass the class. (Stanford will launch 14 more courses starting in January and February. Click link for details.)
Now, MIT wants to up the ante on the certification of free courses. Starting next spring, the university, already famous for its OpenCourseWare project, will launch MITx, an e-learning initiative that will offer certificates to students demonstrating mastery of free MIT courses. According to a new set of FAQs, the certificates won’t bear MIT’s name. Rather, “MIT plans to create a not-for-profit body within [MITx] that will offer certification for online learners of MIT coursework. That body will carry a distinct name to avoid confusion.” The courses will be free; the certificates will cost just a “modest” sum. It’s all a big step in the right direction.
The Chronicle of Higher Education has more on MITx. Expect a formal announcement from MIT on Monday.
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Grugliasco la scuola 2.0 unica in piemonte


Al Via la Scuola di Domani

Dopo aver promosso le LIM multitouch, anticipato di due anni le Classi 2.0 con il progetto un computer per ogni studente, preparato con Dschola centinaia di netbook per le scuole del progetto scuola digitale piemonte, per l'Istituto Tecnico Industriale Ettore Majorana di Grugliasco è finalmente arrivato il momento di inaugurare la sua Classe 2.0 ufficiale.


L'inaugurazione della Classe 2.0 è solo l'inizio di un nuovo percorso: perché l'Istituto è una delle 15 Scuole 2.0, selezionate dal MIUR in tutta Italia (unica in Piemonte), che svilupperanno una esperienza inedita di innovazione didattica e di trasformazione degli ambienti di apprendimento attraverso l’utilizzo esteso delle tecnologie multimediali.

Mercoledì 21/12/2011 alle ore 20.30, 
presso l’Auditorium della scuola (via Cantore 119 – Grugliasco) si terrà la cerimonia di consegna dei computer agli allievi e alle famiglie,
la festa proseguirà con il concerto Gospel di Natale.


Cordiali Saluti
Prof. Dario Zucchini
Referente Nuove Tecnologie
ITI Ettore Majorana - Grugliasco (TO)

mercoledì 23 novembre 2011

IL NASTRO DI MOEBIUS

IL NASTRO DI MOEBIUS
Scheda del video
Nel 1858, il matematico e astronomo tedesco August Ferdinand Moebius scrisse un trattato sui poliedri, nel quale introdusse per la prima volta una figura geometrica rappresentata da una superficie allungata ritorta di centottanta gradi, con una sola faccia e un solo bordo. L’unità audiovisiva, attraverso animazioni grafiche e ricostruzioni realizzate in studio con la carta, illustra le proprietà matematiche di questa figura geometrica, denominata “nastro di Moebius”, mettendo in evidenza la sua attinenza con il concetto di infinito. È particolarmente interessante vedere come il nastro di Moebius abbia esercitato ed eserciti tuttora un singolare fascino per molti artisti, tra i quali si ricorda il visionario illustratore olandese Mauritz Cornelius Escher (Leeuwarden 1898 – Hilversum 1972).

giovedì 10 novembre 2011

Costruiamo Il Tangram Con GeoGebra | Matem@ticaMente

Costruiamo Il Tangram Con GeoGebra | Matem@ticaMente: "Postato da nereide1 Mezzani di 2°B, questa mattina a scuola abbiamo iniziato a studiare l'estensione superficiale dei poligoni, che l'anno scorso abbiamo analizzato dal punto di vista della lunghezza dei lati, delle diagonali e dell'ampiezza degli angoli. Sempre stamane, abbiamo visto che figure non congruenti, ma composte dallo stesso numero di parti congruenti, hanno la stessa estensione superficiale ovvero risultano equiestese (o equivalenti). Abbiamo analizzato anche figure equistese per somma e differenza di parti congruenti. Poiché per casa avete la consegna di costruire un tangram e di realizzare, con i sette pezzi, figure assegnate, ho pensato di darvi un aiutino, realizzando un applet di GeoGebra riferito alla costruzione del tangram. Lo potete vedere nell'immagine seguente. " 'via Blog this'

martedì 8 novembre 2011

Appunti digitali

Ho comprato ieri sera una bamboo pen e trovo fantastica la bamboo paper. Dopo aver fatto un paio di disegni con artrage2 oggi ho fatto un quaderno di appunti di matematica per mia figlia.

Bamboo paper e la tavoletta bamboo pen sono su facebook (1) Bamboo® Europe:

La tavoletta, abbinata a un netbook, consente di prendere appunti digitali e di leggere ebook in classe, sostituendo quaderni e libri.
Le possibilita' di Artrage (software incluso gratuitamente) sono veramente di un realismo eccezionale, per sperimentare le arti.

Quanto costa dotare un bambino di questo?


260 EURO
59 euro - Bamboo pen
199 euro - Asus Eee 1011PX-BLK030U


http://www.wacom.eu

martedì 10 maggio 2011

oilproject. un portale la scuola.

Condividere online entro dieci anni tutte le lezioni tenute nelle scuole e nelle università pubbliche. È il sogno di Marco De Rossi, che con Oilproject cerca di combattere il digital divide culturale italiano attraverso una scuola online libera e aperta a tutti.
un portale la scuola del futuro - Repubblica.it

giovedì 5 maggio 2011

Umanesimo e tecnologia barbarica


Italian Sessions con Baricco @OGR

marco baldassari (@marcobiondo) ha condiviso un Tweet con te: "marcobiondo: RT @CodemotionRoma: Quei geni dei barbari rifaranno l’Italia? 17.30 in streaming con Baricco e Bignardi http://ow.ly/4NIBc #italiansessions @ItalianSessions" --http://twitter.com/marcobiondo/status/66166152304402432

venerdì 25 marzo 2011

100 Million Members on LinkedIn

100 Million Members on LinkedIn

Dear marco,
I want to personally thank you because you were one of LinkedIn's first million members (member number 168533 in fact!*). In any technology adoption lifecycle, there are the early adopters, those who help lead the way. That was you.
We hit a big milestone at LinkedIn this week when our 100 millionth member joined the site.
When we founded LinkedIn, our vision was to help the world's professionals be more successful and productive. Today, with your help, LinkedIn is changing the lives of millions of members by helping them connect with others, find jobs, get insights, start a business, and much more.
We are grateful for your support and look forward to helping you accomplish much more in the years to come. I hope that you are having a great year.
Sincerely,



Reid Hoffman Signature
Reid HoffmanReid Hoffman
Co-founder and Chairman
LinkedIn

*Your member number is the number embedded in your LinkedIn profile URL (after "id=").




Ebook Lab Italia

Foto | Ebook Lab Italia

LinkedIn Groups

  • Group: Ebook Lab Italia
  • Subject: foto e slide di Ebook Lab Italia disponibili online!

Gentilissime/i, Siamo lieti di informarvi che sul sito di Ebook Lab Italia sono disponibili le slide utilizzate dai relatori delle sessioni e dei workshop: http://www.ebooklabitalia.com/programma/slides/ E' inoltre disponibile la selezione ufficiale delle foto di Ebook Lab Italia 2011: http://www.ebooklabitalia.com/programma/foto/ Se avete anche voi fatto degli scatti durante i tre giorni di Ebook Lab Italia, vi preghiamo di inviarceli all'indirizzo info@ebooklabitalia.com e li pubblicheremo in una sezione dedicata. Stiamo lavorando per mettere online al più presto le riprese video, pazientate ancora un pò … ;-) Stay tuned! Letizia Perazzini Ebook Lab Italia Posted By Letizia Perazzini

giovedì 3 febbraio 2011

La matematica è scolpita nel granito

Sugaman » Paolo Nori – La matematica è scolpita nel granito: "La matematica è scolpita nel granito"

feb 01 2011

Paolo Nori - La matematica è scolpita nel granitoLa matematica è scolpita nel granito è il primo libro edito da Sugaman. Ogni anno, a Seneghe, vicino a Oristano, si tiene il Cabudanne de sos poetas, e Paolo Nori ha raccolto qui i diari del Cabudanne dal 2006 a oggi.

Dopo c’è stata la gara a chitarra. A me, nella gara a chitarra, la cosa che mi piace moltissimo, sono gli applausi. La gente applaude solo se gli piace. Se non gli piace, non applaude. E il cantante, quando non applaudono, deglutisce. Deglutisce, deglutisce, deglutisce. E quando applaudono invece lo vedi che torna a sedere leggero come un uomo innamorato.

Paolo Nori, che è nato a Parma nel 1963, e abita a Casalecchio di Reno, scrive dei libri.

Paolo Nori - La matematica è scolpita nel granito (ebook in formato standard ePub, leggibile su tutte le piattaforme) Costa €4.90 e si compra da questa pagina.

Perché Sugaman

Sugaman LogoSugaman nasce perché pensiamo che sia il caso di affrontare i libri elettronici in modo diverso da come li stanno affrontando i grandi editori. Non ci piace che i libri elettronici costino quasi quanto l’edizione cartacea e soprattutto non ci piace che vengano poste limitazioni artificiali alla loro circolazione. I libri di Sugaman saranno liberi da costrizioni, si potranno leggere su ogni dispositivo di lettura, e se il dispositivo scelto non supporta il formato standard ePub, si potranno facilmente convertire i libri nel nuovo formato, perché noi crediamo che quando acquisti un contenuto, tu debba avere la possibilità di farci quello che vuoi, leggerlo dove vuoi e con chi vuoi, e magari imprestarlo agli amici. Ci piace pensare che anche i libri elettronici possano essere conservati e riletti anche a distanza di anni, a prescindere dall’obsolescenza dei supporti e dei dispositivi. Ci piace che i libri elettronici che produrremo siano libri che ci piacciono, e ci piace che possano essere acquistati in un paio di click, e letti senza che i confini territoriali si frappongano tra autore e lettore. La carta digitale con cui facciamo i nostri libri è fatta a mano, ed è biodegradabile al 100%.

mercoledì 2 febbraio 2011

Serve una Banca per l’innovazione

“The hardest part about being an entrepreneur is that you’ll fail ten times for every success.” Adam Horwitz

Mercoledì 2 febbraio 2011
Ore 10.30
Palazzo Montecitorio – Sala della Regina
INTERVENGONO
Franco Bernabè - Amministratore Delegato Telecom Italia
Enrico Letta - Vicesegretario del PD
Maurizio Lupi - Vicepresidente Camera dei deputati
Corrado Passera - Amministratore Delegato di Banca Intesa
Francesco Profumo - Rettore Politecnico di Torino
Irene Tinagli - Docente Università Carlos III Madrid
Gianluca Dettori - CEO Dpixel
MODERA
Riccardo Luna - Direttore Wired Italia

LECTIO MAGISTRALIS
DEL PREMIO NOBEL PER L'ECONOMIA
Edmund Phelps
“L’esigenza di una Banca per l’innovazione”
The need for a “Bank for Innovation”

It is a very great honor to be invited here to speak at the Camera dei deputati. I am grateful to have this opportunity to express some of my ideas. It touches me, since I have been making substantial visits to Italy for nearly 30 years! I feel close to the Italian people.
My subject here is innovation, as you know. An innovation is always the extensive or significant adoption of some new practice in the society or in some community. It is never the invention of something that fails to be adopted. That is exactly how Joseph Schumpeter used the term. Another point: The same Schumpeter nearly destroyed the subject at birth by supposing that every innovation must originate out of some discovery by a scientist or navigator – by people outside the business sector; and all innovative projects are successful, because financiers have the uncanny ability to identify the projects that will succeed and reject the projects that would fail. In fact, scholars have found that the great bulk of economic change is the result of innovations, small and large, springing from inside the business economy. Medical practice is a stunning example. And, as people in business or the professions know, most new ideas are not developed and most newly developed products fail to effect an appreciable innovation in the industry.
It is paradoxical that the world is captivated by innovation when attempts to innovate have a high failure rate. Apparently we still feel that innovation is important and worthy of added support.

Innovation is apt to be important even from the perspective of an extremely conventional theory of what the economy’s structure is and how it works. Production of capital goods is the great employer, as the “Austrian” and Swedish capital theorists liked to suppose; in contrast, consumer good production makes heavy use of capital and little use of labor.

Looking at the waves of discernable innovation, such as the wave in the second half of the 1990s, we see that they achieve big advances in the way capital is used in producing consumer products. This drives down the prices of consumer goods – in other words, it raises the real prices obtainable by capital goods producers. So investment activity is stepped up. 

Also, wages and labor’s share are pulled up. Clearly, Washington economists are yearning for a return of that booming economic activity. For me, all of this strikes a good note. (It must be added, though, that the economy is complicated. A step-up of innovation could take an unusual and much less desirable direction: it could cheapen the production of some capital goods, which is what Intel did in the 1990s. At first, that might increase jobs making chips; but endless advances ahead might ultimately lower the price of chips so much as to contract jobs making chips.)

Innovation is vastly more important from my radically different perspective on what a good economy is about. A good economy – even the not-so-good economy of the United States these days – is all about the creation and application of new ideas: Humean businesspersons are imagining new concepts and novel departures, Hayekian entrepreneurs are attempting the developing of a new product embodying the new idea, on the hope that some consumers or managers will adopt it. Baconian technicians are experimenting with ways of producing the new product. Nelson-Phelps managers are assessing the possible value of adopting novel products coming on to the market. Bhidéan consumers willing to risk taking home the latest thing. This economy is shot through with the exercise and the expression of their creativity, their curiosity, their venturesomeness, their taste and their personality. It is obvious that in nations where there are not the economic institutions to enable and encourage innovation, there cannot be a good economy.

I can imagine you may say, fine, but with so many good causes to support why should the Italian government put enough value on your “good economy” to want to give support to innovation? My answer is that without such a “good economy,” the participants cannot have the prospect of a good life, and for that people need  to be stimulated by new developments, engaged by new problems, enlisted to meet new challenges, to find personal growth in the process and to have a chance (which is all anyone can ask for) to make a difference, to achieve something. (We are witnessing outcries of precisely these needs in the Arab states in recent weeks.) 

As I have been arguing ever since early 2006, a high-income country is not doing justice to the potentialities of its population for self-actualization, self-discovery, and inclusion if it does not examine its institutions, attitudes and beliefs for ways to shore up its dynamism.
I can also imagine it being asked whether there is really any link between the inherent innovativeness of the economy – its dynamism – and human satisfaction and sense of fulfillment. I have spent a lot of time attempting to understand intercountry differences in job engagement and job satisfaction among the high-income countries. 

To be brief: According to data from the 1990s, among the G7 nations, Canada ranked highest and next came the U.S. and U.K. with Japan in the fourth rank. France was at the bottom and Germany next to it. Italy was in both respects in the middle. 

Data from the year 2000, which do not include job engagement, job satisfaction was highest in the U.K., next the U.S., then Germany and France, with Italy having sunk to the bottom. 

 These results are consistent with my thesis that where we see among high-income countries boredom and a deficiency of engagement and satisfaction in the workplace, the explanation is usually a deficiency of innovation. Italy would appear to be a prime candidate for a boost to innovation. So would the United States, where job satisfaction plummeted in 2004 with the increased overseas competition and decline of innovation, which caused many companies to prune themselves of employees in fun jobs doing forward-looking work: product development, strategic planning and so forth.

Two points are of critical importance in the present discussion. Many neo-Schumpeterians are telling us that, even if those great navigators of the Mercantile era and those great scientists of the Enlightenment are no longer with us, the central government of the nation can – and ought to – recreate the days of Queen Isabella and the more recent days of the space agency, NASA, by instituting government-sponsored research projects in green technologies, alternative fuels, and pharmaceutical research. One drawback of this approach is that in a company placed under a government contract to do research or a research agency of government, radically new ideas – ideas that are “out of the box” – are unlikely to get the era of the government overseers. And the directions decided on by these well-funded organizations entities may crowd out competing visions. Perhaps the true genius of the modern economies that emerged in the 19th century was that they achieved mass innovation by encouraging the diverse business people to come up with new ideas, by requiring that these new ideas “make it” with the public, not the government, and by allowing these ideas to compete for the support of entrepreneurs and financiers possessing a pluralism of beliefs, so that ideas that were suspect because of their great novelty would have a chance.

I have to add that I was surprised to see it asserted last week in President Obama’s State of the Union Message to the U.S. Congress that the “Sputnik moment” in 1961, which sparked an outpouring of U.S. government money for research, basic and applied, over the 1960s and beyond, led with time to heightened innovation in the business sector.

The second point is that the Washington economists are nevertheless likely to be right in supposing that fewer business people are going to take the plunge of developing and, if getting that far, bringing to the market when the prospect for prosperity in the future has dimmed because of the slump and, more important, the structural problems that have beset so many western economies. So it makes sense to me that, in Italy and the U.S. as well, the government would be right to voice support for innovation and to throw its support into efforts to boost innovation in the economy. The symbolic significance of such a movement could help lift entrepreneurial spirits.
For two years now, I have been suggesting that the state could give a boost to business innovation by introducing into the financial sector new “banks” or other bodies dedicated to financing company projects in the business sector, including the formation of start-up companies, of a demonstrably innovative character.

I have been moving toward a proposal to establish banks of a new kind. It is not uncommon to see financial entities in a country that are dedicated to residential construction or to agriculture or to exports and so forth. This is curious and disturbing because little or no economic dynamism comes from [that]. … There is no awareness among the general public and its legislatures that most of the economic dynamism inherent in the structure of a country’s economy comes from the innovative inclinations of ordinary people making their careers in the business sector! To right the balance, I suggest to every country that its government establish a corps  of banks that are dedicated to lending to – or investing in – companies in the business sector. I like to remind audiences that Germany, with its famous Deutsche Bank, had just such aw financial institution serving its business sector during its brilliant economic development in the 1880s and 1890s, when the bank backed the new electrical engineering industries.

I continue to stand by this proposal. It will not be a panacea. But I believe it will be a step in the right direction and have some detectable benefits.

A concrete version of the idea emerged in discussions with Leo Tilman. In this blueprint, the state would make an initial capital contribution to a government sponsored enterprise (GSE) and the latter would create a system of new “banks”  or other bodies under its umbrella. We came to realize that this financial “system” – the Innovation Finance System – could be loosely modeled after the mission and structure of the U.S. Farm Credit System. 

Every one of the members of the System would be engaged in “relationship-based” investing in or lending for entrepreneurial ventures of various industries and regions. These entities would be properly chartered and capitalized to reflect risk/return characteristics of investing and lending to the targeted category of entrepreneurs. Through a dedicated funding arm, akin to the Federal Farm Credit Banks Funding Corporation, our System would raise funds in the global capital markets at the relatively attractive rates owing to its status as a government-sponsored enterprise and economies of scale. These funds would be passed onto entrepreneurs at rates commensurate with risks of their projects, as judged by experienced investment and loan officers. Finally, the “joint and several liability” of our System’s members, a separate insurance fund that protects debt holders, and proper oversight and transparency can all foster well-judged business decisions, rigorous risk management, and properly aligned incentives.

Another version of the basic idea would make available equity financing as well as lending, and the new institution’s finance could be concentrated on investments rather than loans. The “banks” in that case might better be called funds  for innovation.
I have come to see that it is better that the proposed fund invest in new ventures rather than to finance them only by lending. A lender is apt to find that there is no interest rate high enough to cover the losses from the loans that do not work out. The start-up entrepreneurs will welcome a partner taking an equity stake but will not welcome the same quantity of finance in the form of a loan.

I would like now to address some of the questions raised by this proposal. One question is what justifies committing the resources of the state to this initiative when there are so many other worthy initiatives that might be launched instead. My answer is that, as I have already said, is that the government owes its citizens, young and old, the dignity of work and the opportunity for realization of talents and discovery of one’s capabilities – and to have these primary goods in one’s own country rather than having to go abroad to get them.

Another question is whether this is not a time for the government to spend less rather than more. My answer is that most of the annual outlay of the new financial initiative is an investment that will bring back cash returns. Furthermore, cutting back on government expenditure is not a reliable way to increase employment; it might or might not do any good while costing something in other social dimensions. (I do believe that many initiatives of the welfare state are counterproductive: they sap incentives to work and to take business risks.

A worry among many economists is whether any investment-type expenditure by the government crowds out other kinds of investment expenditure – more or less dollar for dollar – so that the benefit, if any, is heavily offset by the loss of the benefits of some other government investments. My answer is that actions to enhance the attractiveness and financing of innovative projects does not significantly take away from the value placed on the other investment projects or add to the cost of undertaking them. Think of the business investment boom of the 1990s (the internet boom): yes, it may have dented residential investment in housing but it did not crowd out such investment to such an extent as to snuff out any rise in total employment.

Many financial people question whether it is a good idea to inject into the financial sector an investment fund for innovation that will do a poor job as compared to the good job that venture capitalists and other private investors do. My answer is, first, that it is not at all clear that venture capitalists do a very good job: they demand towering interest rates, so the most uncertain projects – even if visionary – never have a chance. 

Second, the VC industry is only a tiny bit of the financial sector, so it is preposterous to suggest that the VC industry should be depended upon to do the whole job of supporting a nation’s innovation. Third, we must not cling to the highest standards for financing innovative investments when the more important objective is to get a larger volume of innovative investment projects underway by boosting the availability of their finance and perhaps their cost of capital. Finally, we should welcome a new investor to the financial sector that, owing to its size, is willing to take risks that are unknown and quite possibly large for the sake of a comparably large payoff. We would welcome a Mickey Mantle to our baseball team in order to have his home runs even if he strikes out a lot. (Or we would welcome a Franco Corelli to our opera company even if there are many days when he declines to sing!)

This is a time of economic crisis for Italy as well as many other countries these days. In many of these countries, the restoration of a spirit of enterprise and of economic institutions to serve them is the key to a return of prosperity and the personal development of the people. Italy is fortunate that it has the economic culture that is required for a rinascimiento of creativity and adventure in the economy. What now needs to be put in place are the institutions that will enable Italy to regain its potential.

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lunedì 31 gennaio 2011

Strategia Digitale per rilanciare l'Italia

Agenda Digitale:


L’Italia riparta da Internet e dalla tecnologia
Per i giovani che si costruiscono una prospettiva, per le piccole imprese che devono competere nel mondo, per i cittadini che cercano una migliore qualità della vita, l’opportunità offerta dalla tecnologia è irrinunciabile. Il XIX secolo è stato caratterizzato dalle macchine a vapore, il XX secolo dall’elettricità. Il XXI secolo è il secolo digitale.


La politica ha posto la strategia digitale al centro del dibattito in tutte le principali economie del mondo. Ma non in Italia. Eppure in Italia metà della popolazione usa Internet. La tecnologia è parte integrante della vita quotidiana di milioni di cittadini. Studenti, lavoratori, professionisti e imprenditori si confrontano costantemente con i rischi e le opportunità determinate dall’innovazione tecnologica.

Siamo convinti che affrontare con incisività questo ritardo, eliminare i digital divide, sviluppare la cultura digitale con l’obiettivo di conquistare la leadership nello sviluppo ed applicazione delle potenzialità di Internet e delle tecnologie, costituisca la principale opportunità di sviluppo, con benefici economici e sociali per l’intero Paese.
Ci rivolgiamo a tutte le forze politiche, nessuna esclusa, sollecitando il loro impegno a porre concretamente questo tema al centro del dibattito politico nazionale.
Chiediamo, entro 100 giorni, la redazione di proposte organiche per un’Agenda Digitale per l’Italia coinvolgendo le rappresentanze economiche e sociali, i consumatori, le università e coloro che, in questo Paese, operano in prima linea su questo tema. Richiamiamo l’attenzione di tutte le forze politiche, gli imprenditori, i lavoratori, i ricercatori, i cittadini, perchè non vedano in queste parole la missione di una sola parte, ma di tutto il Paese.