lunedì 31 gennaio 2011

Strategia Digitale per rilanciare l'Italia

Agenda Digitale:


L’Italia riparta da Internet e dalla tecnologia
Per i giovani che si costruiscono una prospettiva, per le piccole imprese che devono competere nel mondo, per i cittadini che cercano una migliore qualità della vita, l’opportunità offerta dalla tecnologia è irrinunciabile. Il XIX secolo è stato caratterizzato dalle macchine a vapore, il XX secolo dall’elettricità. Il XXI secolo è il secolo digitale.


La politica ha posto la strategia digitale al centro del dibattito in tutte le principali economie del mondo. Ma non in Italia. Eppure in Italia metà della popolazione usa Internet. La tecnologia è parte integrante della vita quotidiana di milioni di cittadini. Studenti, lavoratori, professionisti e imprenditori si confrontano costantemente con i rischi e le opportunità determinate dall’innovazione tecnologica.

Siamo convinti che affrontare con incisività questo ritardo, eliminare i digital divide, sviluppare la cultura digitale con l’obiettivo di conquistare la leadership nello sviluppo ed applicazione delle potenzialità di Internet e delle tecnologie, costituisca la principale opportunità di sviluppo, con benefici economici e sociali per l’intero Paese.
Ci rivolgiamo a tutte le forze politiche, nessuna esclusa, sollecitando il loro impegno a porre concretamente questo tema al centro del dibattito politico nazionale.
Chiediamo, entro 100 giorni, la redazione di proposte organiche per un’Agenda Digitale per l’Italia coinvolgendo le rappresentanze economiche e sociali, i consumatori, le università e coloro che, in questo Paese, operano in prima linea su questo tema. Richiamiamo l’attenzione di tutte le forze politiche, gli imprenditori, i lavoratori, i ricercatori, i cittadini, perchè non vedano in queste parole la missione di una sola parte, ma di tutto il Paese.

venerdì 28 gennaio 2011

NoteSlate un tablet ereader (a 75€)

NoteSlate, meno di un tablet, più di un ereader (a 75€) - Wired.it


Da giugno arriva sul mercato un nuovo dispositivo con e-Ink a colori. E una caratteristica davvero interessante, anzi due: il prezzo e il pannello solare sulla cover posteriore

di Tiziana Moriconi
Si chiama NoteSlate e arriverà a giugno. Lo definiscono tablet ma, se si vanno a guardare tutte le sue caratteristiche, somiglia più a un ereader (e un po’ anche a una lavagna , come suggerisce il nome), con alcune funzioni tipiche dei modelli più avanzati. Tra gli aspetti più interessanti c’è il costo, decisamente inferiore a quello dei lettori ebook cui siamo abituati: 75 euro (il prezzo originale è 99 dollari). Ecco alcune di queste caratteristiche. Prima tra tutte, la tecnologia eInk, l’inchiostro elettronico usato praticamente da tutti gli ereader, che sfrutta la luce dell’ambiente invece che la retro-illuminazione, con il doppio vantaggio di un minor affaticamento della vista e di un grande risparmio in termini di energia. In effetti, la batteria ha 180 ore di autonomia, che equivalgono a tre settimane piene di lavoro. Ai colori del dispositivo - bianco, nero, verde, blu, rosso e natural – corrispondono quelli della penna in dotazione (c’è anche un modello multicolor). Neanche a dirlo, infatti, NoteSlate è touchscreen e ha il software per la riconoscimento della scrittura. È piuttosto grande - ben 13 pollici, praticamente un foglio A4 –, con una risoluzione di 750×1080 pixel, ma è spesso solo 6 millimetri e pesa appena 280 grammi. È disponibile anche la versione con cover posteriore a pannelli solari. Riproduce file Mp3 e legge il formato pdf. Quanto agli ingressi: micro-Usb e Sd Card (oltre, naturalmente, al jack da 3.5 millimetri per le cuffie. Il modulo Wi-Fi, invece, non è incluso nel modello base, ma deve essere richiesto.

martedì 25 gennaio 2011

Digitale e aperto come un libro

Digitale e aperto come un libro - Il Sole 24 ORE

I docenti chiedono strumenti didattici adattabili; spesso amano costruirsi in proprio i manuali di lavoro, magari avvalendosi della collaborazione degli studenti, secondo una logica da web 2.0 e da user content generation. Del resto la scuola, quella di qualità, anche prima del l'avvento del digitale, ha scritto o riscritto i propri testi, si trattasse di una serie di dispense, piuttosto che di veri e propri volumi ciclostilati e riprodotti artigianalmente.
Nella sedicesima edizione della conferenza Educa Berlin, che si è svolta appunto a Berlino nel dicembre scorso, si è dato grande rilievo alle esperienze di produzione e condivisione di contenuti didattici digitali per la scuola da parte di comunità di docenti. Il caso della Norvegia può risultare emblematico: per iniziativa pubblica si è costituita nel 2006 la Norwegian Digital Learning Arena (Ndla), uno spazio in cui i docenti di scuola secondaria di secondo grado condividono una serie di contenuti digitali pubblicati con Creative Commons license. Uno staff redazionale, composto proprio da docenti, controlla e pubblica il materiale e ne implementa eventuali modifiche in base al feed-back degli utenti. La possibilità di proporre contenuti e di condividerli è da poco offerta anche agli stessi studenti. Le maggiori publisher norvegesi hanno tentato di ostacolare il progetto che riscuote tuttavia molto successo e ha ricevuto nel 2009 l'attenzione dell'Ocse («Beyond Textbooks - Digital Learning Resources as systemic Innovation in the nordic countries»)
Vecchia di qualche anno è anche l'iniziativa di Merlot , una collezione di risorse costruita e controllata secondo la logica della peer reviewed. Collaborazioni individuali, partner istituzionali e anche gruppi editoriali possono partecipare a questo scambio di testi digitali suddivisi per ambito disciplinare, che ha lo scopo principale di contribuire alla costruzione di una comunità interessata alle nuove tecnologie della didattica. Potremmo citare ancora la Nation's online library for education and research in Science, technology, engineering, mathematics dedicata tutta ad attività inerenti le materie scientifiche o anche la più nota The Le@rning Federation, che dal 2001, per volontà del Governo australiano è un punto di riferimento per chi si occupa dell'innovazione didattica. L'intento dichiarato dal l'istituzione australiana è quello di aiutare la scuola «a intraprendere la strada di un'istruzione del ventunesimo secolo e a implementare la rivoluzione dell'istruzione digitale».
Difficile è ancora definire la natura dei testi che vi si trovano: con lo stesso termine si indica talvolta una semplice serie di schermate informative corredate di approfondimenti in linea o di java script, mentre in altri casi ci troviamo di fronte a veri e propri corsi che propongono allo studente percorsi formativi completi costituiti da approfondimenti, esercitazioni, lezioni registrate e anche servizi online in cui un docente (non virtuale) risponde ai quesiti posti. È questo il caso dei corsi proposti di recente dal Mit, accessibili e liberi per chiunque voglia seguirli senza la pretesa di nessun riconoscimento o attestato formale, un autoapprendimento nel senso più classico del termine. Per ora il Mit ne ha pubblicati cinque in versione beta. Essi rappresentano «un significativo nuovo approccio a risorse educative aperte e condivisibili. Denominati "Ocw scholar courses", questi materiali sono destinati fin dall'inizio ad allievi indipendenti che non hanno molte altre risorse disponibili». Il momento è propizio così per chi abbia voglia di riconsiderare la natura del testo di studio, così congeniale alle logiche del digitale. Perché a scuola si legge e scrive assieme ed è difficile pensare a una sostanziale cesura tra le due attività.
Alessandra Anichini lavora all'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica.

A Procida la scuola totalmente digitale-VIDEO- LASTAMPA.it

A Procida la scuola totalmente digitale-VIDEO- LASTAMPA.it
A Procida, nel Golfo di Napoli, c'è una delle prime scuole italiane totalmente digitali: si tratta dell'Istituto Secondario superiore "Caracciolo". In ognuna delle 28 classi c'è una lavagna interattiva multimediale, più un'altra nel Laboratorio di Navigazione. L'esperienza è partita nell'anno scolastico 2006-2007, quando la scuola ha aderito al progetto DiGi Scuola finanziato dal ministero dell'Istruzione.

lunedì 3 gennaio 2011

tutti i bambini uruguaiani delle elementari hanno un pc.


2 gennaio 2011

Nel suk dei nativi digitali. Perché gli studenti 2.0 hanno bisogno di una bussola per orientarsi

di Serena Danna

Addio al vecchio sapere lineare fondato sulla parola scritta e sulla trasmissione di conoscenza maestro-alunno: imparare oggi ha la forma di un suk arabo nell'ora di punta. Tra social network, video-racconti su YouTube, la musica di MySpace, il linguaggio sincopato delle chat e le bufale online, gli studenti di nuova generazione hanno bisogno di una bussola per orientarsi. Ma la scuola non c'è. O meglio, non ce la fa: a studenti 2.0 corrispondono spesso istituti scolastici da secolo scorso.
Chi sono questi famigerati "nativi digitali" nati e cresciuti a rivoluzione Internet compiuta? Come ha scritto l'ex direttore del programma Comparative media studies dell' Mit di Boston, Henry Jenkins, la loro cultura è "partecipativa" e si fonda su "produzione e condivisione di creazioni digitali" e una "partnership informale" tra insegnanti e alunni che porta il bambino a sentirsi responsabile del progetto educativo. Il maestro non è più un trasmettitore di conoscenza ma un "facilitatore", che fa da filtro tra il caos della rete e il cervello del piccolo studente.
"Frequentano gli schermi interattivi fin dalla nascita", spiega Paolo Ferri docente di tecnologie didattiche e teoria e tecnica dei nuovi media all'Università Bicocca di Milano, "e considerano Internet "il principale strumento di reperimento, condivisione e gestione dell'informazione". È la prima generazione (che oggi ha tra gli o e i 12 anni) veramente hi-tech che pensa, apprende e conosce in maniera differente dai suoi fratelli maggiori. 
"Se per noi imparare significava leggere-studiare-ripetere, per i bambini cresciuti con i videogames vuol dire innanzitutto risolvere i problemi in maniera attiva", spiega Ferri che studia e promuove da anni il "digital learning".
I bambini cresciuti con consolle e cellulare sono "abituati a vedere la risoluzione di compiti cognitivi come un problema pragmatico", aggiunge. Lynn Clark direttrice dell' Estlow International Center for Journalism and New Media dell'Università di Denver ha condotto un progetto di ricerca su 300 famiglie americane per capire come se la cavano con i media digitali.
"Grazie ai videogiochi, il sapere dei bambini si nutre di simboli, sfide e modelli sempre diversi di narrazione", spiega Clark che aggiunge: "quando le modalità di apprendimento scolastico sono simili a quelle di un gioco ci sono maggiori chances che gli alunni apprendano volentieri e in fretta". "Se qualcosa può essere visto, ascoltato, suonato, perché dovrebbe essere raccontato a parole?", si chiede Paolo Ferri.
Nishant Shah, che a 26 anni dirige il Center for Internet and Society di Bangalore in India, lo spiega così via Skype: "La tecnologia dei nostri padri è quella televisiva: un modello analogico che stabilisce ruoli, responsabilità e struttura della produzione, diffusione e consumo di conoscenza. Con l'esplosione del p2p - l'idea di una rete dove non esiste gerarchia e tutto viene condiviso- i ruoli sono messi in discussione dallo studente, che si considera parte attiva nella produzione di sapere e vede i libri come una fonte tra le tante".
Se è vero che il "l'ha detto Internet" ha assunto tra i bambini l'autorevolezza di una sentenza della Cassazione, è innegabile che la rete sia la patria del vero-simile. "Internet sta ridisegnando i confini della verità - continua Shah - e questo pone grandi sfide per gli educatori del XXI secolo: come si fa a imparare utilizzando fonti che non hanno approvazione istituzionale? Come si può riconoscere un valido provider di conoscenza nel caos online?".
Anche il professore della Bicocca ammette che "la cut-and-paste culture e la presunzione di veridicità della Rete" tendono ad abbassare la percezione critica degli utenti: "Internet diventa per i bambini "la fonte" a prescindere dall'autorevolezza del sito e da chi scrive", dice.
Se passa il modello Wikipedia, crolla l'importanza dell'autore. O, come ha scritto l'antropologa Susan D. Blum sul New York Times, "se per lo studente non è fondamentale essere unico, va bene usare parole di altri. Dice cose a cui non crede? Allora è ok scrivere testi su argomenti sconosciuti con l'unico scopo di prendere un buon voto: conoscere è diventato un mezzo per ottenere consensi e socialità".
Per il momento le iniziative più interessanti di digital learning riguardano i fratelli più grandi. Dal prossimo anno in 2500 campus universitari americani arriverà un software per pc, iPad e telefonini (il costo va dai 30 ai 70 dollari e il maggiore produttore è la Turning Technologies) chiamato "clickers", che permette all'insegnante di verificare il livello di attenzione dello studente - immerso nella navigazione internet - chiedendo feedback sulla tastiera ogni 15 minuti. Il professore di Harvard Charles Nesson ha tenuto un corso virtuale su Second Life, mentre il progetto di educazione civica "YouMedia", sponsorizzato dall'amministrazione di Chicago, promuove l'apprendimento attraverso video-racconti pubblici di libri.
Nella Woodside High School, in California, gli studenti hanno borse di studio per comprare l'iPad, un centro multimediale da tre milioni di dollari e lezioni su come registrare la musica e usare Internet in maniera responsabile. Grazie ai computer economici del guru informatico Nicholas Negroponte, tutti i bambini uruguaiani delle elementari hanno un pc. 
In Europa - che ha messo la competenza digitale al quarto posto (dopo prima lingua, lingua straniera e matematica e scienze) tra le competenze chiave per l'educazione degli stati membri dell'Unione - il paese più "nativi digitali oriented" è l'Inghilterra, dove la riforma del sistema scolastico voluta dal governo Blair ha ridotto drasticamente il numero degli studenti per classi, favorendo così la personalizzazione dell'insegnamento, e tagliato il numero delle materie. "Sono passati- sottolinea Paolo Ferri - da un modello disciplinare basato sui contenuti a quello per competenze che si regge su un principio: imparare ad imparare". Ferri ricorda che la lavagna interattiva è presente nel 100% delle classi primarie e secondarie inglesi mentre in Italia si punta ad averne una su dieci entro il 2011. Qui la strada è ancora tutta in salita.
Il ministero dell'Istruzione porta avanti il progetto LIM, che riguarda l'introduzione di lavagne interattive nelle aule, e quello Cl@ssi 2.0 che punta a finanziare con 30mila euro 156 classi (in Italia ci sono circa 25mila scuole) delle scuole medie inferiori per lo sviluppo di progetti innovativi. "C'è una grande carenza di investimenti dall'alto - denuncia Ferri - arginata da qualche dirigente di buona volontà". Per il professore della Bicocca è a livello territoriale, grazie all'autonomia scolastica e alle capacità manageriali e creative di qualche preside, che si vedono i migliori esperimenti.
A Bollate, un comune di 37 mila abitanti alle porte di Milano, per imparare a usare l'iPad basta chiedere aiuto a un bambino. Nelle aule dell'Istituto di via Brianza - due scuole elementari e due medie inferiori - al posto di quadernetti e matite, da settembre gli alunni usano il tablet computer prodotto dalla Apple.
Qualche centinaia di chilometri più a Sud, a Reggio Emilia - la città dove tutti vorrebbero avere 3 anni per quel "Reggio Approach", lodato dal New York Times (parole d'ordine: arte, assemblee di classe e respiro globale), che ha fatto guadagnare al capoluogo emiliano il titolo di capitale mondiale degli asili nido - software, dispositivi elettronici e lavagne interattive hanno ormai sostituito seggioloni e orsacchiotti.
Bollate e Reggio non sono residui di una bizzarra avanguardia pedagogica, il cui simbolo cinematografico è ancora "Bianca" di Nanni Moretti, con le vicende della scuola "Marylin Monroe" dove al posto della foto del presidente della Repubblica c'e' Dino Zoff e i professori giocano alle slot machines e al flipper. Dimostrano piuttosto che ci sono, anche in Italia, presidi e maestri che hanno capito chi sono e come si educano i nativi digitali.
"Ma il risultato è quella di una cartina dell'innovazione a macchia di leopardo", dichiara Ferri, che tuttavia si dice ottimista. Da un lato perché "nel 2013 andrà in pensione la metà degli insegnanti italiani", dall'altro perché crede nel contagio positivo: "In 10 anni le scuole al passo con le trasformazioni sociali e tecnologiche, e per questo premiate con finanziamenti e alto numero di iscrizioni, avranno costretto le altre ad adeguarsi". Una speranza? No, un dovere. Perché "innovare innovare innovare", il famoso mantra di Hal Varian di Google News, è l'unica chance di sopravvivenza anche per la scuola italiana.

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2 gennaio 2011