giovedì 30 settembre 2010

Genitori, grandi maestri di felicità

Ricevo e riporto volentieri questa recensione spontanea di un testo che condivido molto nei contenuti pedagogici...

Anteprima su Google Books di "Genitori, Grandi Maestri di Felicita'"

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Sto leggendo di questi tempi il libro di Giovanni
Bollea "Genitori, grandi maestri di felicità". E' un gran bel libro,
anche se per i miei "bisogni" di padre in questo momento è un testo
prematuro. Mio figlio ha due anni e sicuramente questo testo è più
adatto a dubbi e perplessità di genitori con figli un po' più grandi
(dai quattro anni mi permetterei di dire). Vi faccio leggere la
prefazione, cosi che possiate capire lo stile di questo psichiatra. Non
spaventatevi dalla sua professione, il testo e quello che dice sono
molto più semplici e comprensibili
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A suo tempo dissi che le madri non sbagliano mai, ma non dissi che le
madri hanno sempre ragione. Qual è l’origine di un pensiero soltanto
apparentemente così paradossale?


Patologie a parte, nella mia esperienza ho incontrato figli che hanno
dimenticato gli errori delle madri e ricordato indelebilmente quelli
dei padri: per questo si può dire che “le madri non sbagliano mai”. E i
padri invece sbagliano? Se sbagliano, comunque i loro errori vengono
ricordati, soprattutto dai figli maschi. Le ultime ricerche ci dicono
che il 54% di loro è soddisfatto delle madri, mentre solo il 9% dei
padri.
Cosa possiamo dedurne? A domande più specifiche i ragazzi
rispondono di essere insoddisfatti dei padri che non portano a casa uno
stipendio sufficiente rispetto allo standard borghese, o non provvedono
ai loro desideri materiali, come lo sport, una macchina nuova, lo
stereo, abiti firmati, tecnologie sofisticate o semplicemente un nuovo
telefonino.

È evidente a tutti quanto queste confessioni dimostrino un vero e
proprio fallimento culturale, concepito in una profonda mancanza di
valori alternativi. Eppure, oggi, i padri sono molto più vicini di una
volta ai loro figli; basti notare la quantità di carrozzine e
passeggini da loro portati, a volte con un atteggiamento più tenero e
attento di quello delle madri; e poi l’interessamento per la scuola, da
me tanto auspicato, che oggi è aumentato; e così il dialogo, ancora
insufficiente ma più aperto e mirato. Nonostante tutto ciò, nella mente
dei figli l’identikit del padre è modellato su effigi, icone e ritratti
degli eroi vincenti in televisione, negli spot e nei film d’azione:
feticci e simulacri nei quali vogliono a tutti i costi individuare i
propri padri. È tuttavia molto interessante scoprire che pochissimi
vorrebbero cambiare famiglia o averne una diversa. È sconcertante
vedere che la madre non è stata ancora identificata in una figura
“produttiva” sul piano materiale, al di là dello stipendio che riesce a
portare a casa: l’effigie materna resta ancora una sorta di icona. Ma
per lo meno crudele è il cinismo riservato al padre, il quale
naturalmente cercherà di trovare facili scappatoie in una fuga in
avanti per liberarsi dal sentimento di inadeguatezza che lo deprime
quotidianamente.

Per i ragazzi riconoscere di non essere soddisfatti di quello che
ricevono dal padre è meglio del rinunciare all’apparire
, scimmiottando
una realtà che li fa sentire “forti” e che, al contrario, li rende
sempre più deboli. La visione costantemente ripetuta del solito modello
consumistico alza uno steccato, costruito giorno per giorno, paletto
dopo paletto, intorno all’immagine del padre, il quale, alla fine, si
troverà davvero di fronte una barricata. Dato poi che gli uomini non
trovano mai quello che cercano, bensì quello che creano, rendiamoci
conto della pericolosità di questo spostamento di valori
. Se non
rendiamo i ragazzi consapevoli della loro identità e delle loro reali
possibilità, essi non riusciranno mai a immaginarsi forti senza
ricchezza, firme e automobili costose.


Il padre deve perciò avere un rapporto di empatia con il figlio
soprattutto dai dodici-tredici anni fino ai venti. Dai diciassette ai
venti è importantissimo che egli ne comprenda l’esperienza affinché il
figlio si ritenga da lui appoggiato. I figli devono poter dire come si
sentono; e devono fidarsi,
in modo che, nel momento in cui esploderà il
conflitto, ci sia un terreno di confronto comune a disposizione per
risolvere insieme il problema. È così che si può arrivare a percorrere
la strada che li condurrà a desiderare di ricevere e ascoltare i
consigli.

Non si arriverebbe a tanto cinismo se il padre riuscisse a riconoscere
molto prima le emozioni del bambino, creando così un’occasione di
intimità. Potendo capire dall’interno quelle emozioni comincerà, poi, a
porre dei limiti ai desideri del figlio e a poggiare sull’altro piatto
della bilancia i valori fondamentali che stanno nelle sue qualità
morali e intellettive
, strumenti non valutabili in denaro, ma
essenziali per affrontare la vita e capaci di renderlo più felice, con
un’esistenza migliore. Insieme a valori come l’amore, l’aiuto, la
solidarietà.


Bisogna evitare che diventi emotivamente impedito perché turbato e
preoccupato da discussioni e conflitti che, troppo spesso, esplodono in
famiglia per motivi economici; conflitti nei quali il padre appaia
sminuito da richieste eccessive e sproporzionate al suo guadagno. E
bisogna iniziarlo fin da piccolissimo al confronto con chi vive una
vita fatta soltanto di povertà e dolore
: ciò non lo spaventerà, anzi lo
renderà più consapevole di tutto il positivo che c’è anche soltanto in
una delle sue giornate “felici”, costruite sull’unione delle energie di
padre e madre
. Prospettandogli la possibilità di rendere felici molti
altri bambini: bastano il suo pensiero, i suoi piccoli risparmi e la
condivisione delle sue emozioni.



Se siete interessati, leggete anche la scheda del libro cliccando qui

fonte: "genitori grandi maestri di felicità" di Giovanni Bellea

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